«Chick Corea, l’Anticonformista», il nuovo libro di Francesco Cataldo Verrina

Chick Corea è stato un musicista con un mazzo di chiavi in mano capace di aprire tutte le porte del jazz su un vasto territorio espressivo. Pur non essendo mai stato un pianista-compositore convenzionale, Corea ha ricevuto molti consensi durante la fase elettrico-sperimentale, mentre la parentesi post-bop acustica viene considerata come un momento transitorio. Eppure il suo pianismo, specie nei primi dischi, denota caratteristiche non comuni, da cui possono essere enucleati i tratti salienti e fondamentali di quelle che saranno le sue regole d’ingaggio.
In prima istanza bisogna dare una motivazione al titolo del libro: «Chick Corea, l’Anticonformista». Chi conosce la parabola artistica del pianista italo-americano, sa bene che ogni spiegazione potrebbe risultare superflua. Un talento naturale spiccatissimo (a quattro anni suonava già il pianoforte), Anthony Armando (nome di battesimo), fu avviato alla musica dal padre Armando senior, trombettista e direttore di piccoli ensemble. Chick, a parte nelle fasi iniziali della sua carriera, quando sembrava potesse aderire ai dettami del post-bop, è sempre stato un «deformatore» del vernacolo jazzistico, giungendo presto ad una sua «conformazione» del modulo espressivo declinato, oltremodo, attraverso una serie di dinamiche e stilemi differenti, ma sempre inequivocabilmente caratterizzati da un metodo pianistico distintivo ed in costante crescita. La regola d’ingaggio di Corea è sempre apparsa, più che anticonvenzionale, anticonformista, specie in relazione a quanto accadeva intorno o in riferimento a quelli che erano i dettami jazzistici ed i codici stilistici del momento.
L’elemento propulsore della sua musica si sviluppa attraverso l’appropriazione di quei codici stilistici – quasi sempre ricalibrati o modificati a sua immagine – la loro conoscenza profonda e la consapevolezza del loro uso. Corea seppe farsi carico di questa modalità, assorbendo, vivendo e sperimentando diversi moduli espressivi sulla scorta di una molteplicità di incontri e attraverso la restaurazione dell’antica unione fra la prassi esecutiva e il pensiero compositivo. Padrone e templare di ciascuno dei linguaggi appresi e praticati, Corea li utilizzò sistematicamente con la massima libertà e all’occorrenza. Così come viene sottolineato nel suo libro «A work in progress…On being a musician», in cui si legge che il pianista «pensasse come un’orchestra classica» quando si trattava di fare il comping, l’accompagnamento propriamente jazzistico a sostegno degli assoli o dei temi melodici eseguiti da altri.
Nella musica di Corea sono presenti quattro elementi: rapidità, sintesi, magnificenza e bellezza. La rapidità e la sintesi provengono dal jazz, la magnificenza e la bellezza dalla musica eurodotta. Nella produzione del pianista italo-americano c’è quella che potremmo definire estetica della composizione, sia in senso formale che sostanziale.